Onorevole Ministro Marco Minniti,
Presidente Luciano Violante,
Eccellenza sig. Prefetto
Donato Cafagna
Gentile Direttore De Tommaso,
caro Monsignor Franco Semeraro,
(altri saluti istituzionali)
Ci ritroviamo a parlare di temi attuale urgenza in una Basilica dedicata a un santo della Carità, san Martino, il soldato che divise il suo mantello, o meglio che condivise il suo mantello, tenendo per sé la fodera e donando al povero la nappa. Ma c’è qualcosa che sfugge di questo gesto, così forte da resistere tenacemente all’erosione storica di qualsiasi episodio tanto da diventare emblematico e simbolico per tante generazioni. Ci sfugge sempre quello che avvenne dopo, ovvero il sogno del giovane Martino che vide il Cristo coperto dal lembo di quel mantello donato al mendicante, segno efficace di quella parola sulla quale saremo giudicati nell’ora del Giudizio Universale: «Qualsiasi cosa farete ad uno di questi fratelli miei più piccoli l’avrete fatta a me!» (Mt 25,40)
Sì perché per noi cristiani ogni azione filantropica, di accoglienza, di integrazione, non prescinde dal rapporto diretto, costante, con il Vangelo.
La vera minaccia delle radici cristiane nel nostro tempo sono tutti quei tentativi di recidere il Vangelo, nella sua chiarezza ed integrità, dalla vita quotidiana, politica, culturale, dalla riflessione sui temi scottanti delle fame, della guerra e delle migrazioni, relegando la Parola che ha illuminato e formato le nostre coscienze per secoli solo all’ambito della pratica strettamente religiosa. Il Vangelo, quale buona notizia per ogni uomo sulla faccia della terra per noi è la vera liberazione perché aldilà di ogni appartenenza etnica, religiosa e sociale, ciascuno è figlio di Dio.
La visione notturna di san Martino ci riporta ad un ordine superiore delle cose, di un gesto di carità che viene ispirato dall’alto, che trova le sue motivazioni in un comandamento d’amore del Maestro. Dio ci lascerà alla porta della sua casa come estranei, se on avremo accolto Lui nel forestiero, Lui nella nudità, Lui nella fame, Lui nella sete.
A questa esigenza diretta, cocente del Vangelo, risuona forte in risonanza il magistero del nostro Pontefice, papa Francesco. Che nel messaggio per Giornata Mondiale dei Migranti ha sottolineato alcune parole chiave che qui cito solo accennandole:
Accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione.
Proteggere, si declina in tutta una serie di azioni in difesa dei diritti e della dignità dei migranti e dei rifugiati, indipendentemente dal loro status migratorio
Per i minori non accompagnati o separati dalla loro famiglia è importante prevedere programmi di custodia temporanea o affidamento. Nel rispetto del diritto universale ad una nazionalità, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita. La apolidia in cui talvolta vengono a trovarsi migranti e rifugiati può essere facilmente evitata attraverso «una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale. Lo status migratorio non dovrebbe limitare l’accesso all’assistenza sanitaria nazionale e ai sistemi pensionistici, come pure al trasferimento dei loro contributi nel caso di rimpatrio.
Promuovere vuol dire essenzialmente adoperarsi affinché tutti i migranti e i rifugiati così come le comunità che li accolgono siano messi in condizione di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni che compongono l’umanità voluta dal Creatore.
Integrare, si pone sul piano delle opportunità di arricchimento interculturale generate dalla presenza di migranti e rifugiati. L’integrazione non è «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca.
A Dacca, proprio nell’ultimo viaggio apostolico, il Santo Padre Francesco, ha commosso e provocato il mondo con un gesto che declina questi termini tutti insieme, in maniera sinfonica, non tenendo conto di tanti distinguo che il Vangelo tralascia, dandoci una lezione che di fronte alla dignità delle persone devono crollare i tabù. Mi riferisco al gesto di accoglienza e di richiesta di perdono della minoranza etnica Rohingya, costretti ad emigrare in Bangladesh.
A questo gruppo di islamici ha detto: «La presenza di Dio oggi anche si dice Rohingya». E ancora: «A nome di tutti quelli che vi perseguitano e vi hanno fatto del male, soprattutto nella indifferenza del mondo, chiedo perdono, perdono … facciamo vedere al mondo cosa fa l’egoismo con l’immagine di Dio. Continuiamo ad aiutarli, non chiudiamo i nostri cuori, non voltiamoci dall’altra parte. Continuiamo a stare loro vicino perché siano riconosciuti i loro diritti. Farò tutto ciò che posso per aiutarvi».
Questo è lo spirito evangelico: fare tutto ciò che è possibile per aiutare.
Onorevole Ministro, amici tutti, qui non disquisiamo di cose che leggiamo sui giornali, ma il mondo della povertà, della guerra, ha bussato e continua a bussare in terra ionica, e lì dove la talvolta farraginosa macchina burocratica rischiava di rimanere muta di fronte a bocche da sfamare nell’imminente, a cure impellenti e a qualche carezza che la burocrazia non può dare, ha parlato il cuore dei tarantini, di tante persone generose, di associazioni, di tanta gente di buona volontà.
Un cuore che dobbiamo necessariamente non lasciare isolato. Perché abbiamo bisogno di rimanere umani e la carità ci rende più uomini e più donne.
Mi ha colpito la generosità dei tarantini perché nonostante la difficoltà non si sono tirati indietro. Difficoltà che sono sotto gli occhi di tutti, di un’intera Nazione e che a Lei, onorevole Ministro, chiedo di ascoltatore e di farsi latore della grave preoccupazione della mia gente presso il Governo.
Non sta a me entrare nella disputa tra Governo ed enti locali ma desidero ribadire, circa la vertenza che si è aperta in questi giorni nella città di Taranto, che il mio unico interesse è il bene della gente e la rinascita del nostro territorio, spesso lasciato nell’incertezza circa il suo presente ed il futuro. Specificamente sulla questione dell’Ilva confermo che il primo problema è porre fine alla devastazione ambientale e che sia seriamente preso in considerazione da parte del Governo e del nuovo acquirente il danno sanitario. In secondo luogo, che sia rispettato e garantito il lavoro dei dipendenti dell’azienda e delle ditte che lavorano nell’indotto. Infine che, come segno di concreto di una risposta forte all’impatto inquinante si dia inizio a partire dai primi di gennaio 2018 alla copertura dei parchi minerali. Gli allarmi Wind days sono indegni di un paese civile, inaccettabili, non possiamo tollerarli oltre.
Che tutti le parti in causa si siedano intorno a un tavolo lasciandosi alle spalle orgoglio e strategie e lavorino nell’interesse esclusivo della città, degli operai, dei residenti tutti. Ci sono già stati 12 decreti; non farebbe male un intervento governativo questa volta condiviso dalla popolazione.
Io continuo ad avere fiducia perché le persone di buona volontà, possano ritrovarsi unirsi per essere costruttori di bene e di bello.