TARANTO – Una città al bivio, Taranto. Che attende risposte risolutive sul versante della tutela della salute, della difesa del lavoro e del risanamento dell’ambiente offeso dall’inquinamento. Due anni fa, era la vigilia di Natale, alla fine di un Consiglio dei ministri il premier Matteo Renzi, oggi dimissionario, annunciava un pacchetto di misure per Taranto che poi vedranno la luce nel primo decreto legge dell’anno successivo. Due anni dopo, travolto dal voto del referendum costituzionale, quello stesso Governo, che pure ha messo in cantiere una serie di interventi per la città, è costretto a passare la mano. Il tutto in una situazione che definire incerta è dire poco.
«Un giorno di festa come l’Immacolata è molto sentito dai tarantini perché riunisce le famiglie attorno a valori positivi – dice l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, in un colloquio con la “Gazzetta” -. È un giorno bello, dunque, ma io vorrei partire proprio dalla ricorrenza della patrona principale della città per dire che a Taranto le questioni restano aperte e che l’emergenza Taranto è prioritaria».
«Abbiamo appena archiviato il referendum costituzionale con tutte le lacerazioni che ne sono derivate. Penso che il No che ha registrato a Taranto il 69,2 per cento, in Puglia il 67,16 e in Italia il 59,11, sia anche il segnale di un Paese che sta ancora male. Sì, alcuni interventi sono stati fatti, ma il malessere c’è. Non lo si può negare. Allo stesso modo, non si possono negare l’insoddisfazione e la sofferenza di Taranto. Sono da quattro anni in questa città, sono arrivato dal Brasile, e quando vado nelle parrocchie – dice l’arcivescovo – la gente è contenta di vedermi e riconosce nel vescovo un difensore dei loro problemi. Anzi, mi invita ad essere ancora più incisivo e determinato con le autorità e nei confronti di chi può e deve decidere. Ma nei colloqui privati le richieste che mi vengono fatte sono uniche: il lavoro, l’assistenza nelle malattie, il sostegno nelle difficoltà della vita. Ecco, quindi, il disagio, la sofferenza». «Certo – aggiunge – a Taranto c’è anche tanta bella, generosa solidarietà. Penso all’aiuto ai senza tetto attraverso la messa a disposizione, da parte della Diocesi, di Palazzo Santacroce in Città vecchia e ai migranti attraverso il monastero delle Carmelitane a Poggio Galeso. Eppoi ci sono le mense della Caritas e delle parrocchie sempre attive. Ma se c’è un aspetto solidale e di fede molto vivo, ne esiste anche uno sociale molto provato e il vescovo questo non può non considerarlo».
«Vorrei dunque che in questo momento molto particolare – dice l’arcivescovo Santoro – l’attenzione al bene di Taranto fosse più grande dell’interesse politico e partitico e che il desiderio di superare le difficoltà in cui ci troviamo fosse più grande dello scontro tra opposti schieramenti. Col referendum, ripeto, abbiamo anche detto al Governo che le cose non vanno ancora bene. Sì, a Taranto abbiamo avuto dell’attenzione, non lo trascuro, e mi riferisco ai cantieri aperti, al lancio del concorso internazionale di idee sul recupero della Città vecchia, alla ripresa del porto, all’investimento fatto sulla cultura e sul Museo nazionale, all’attenzione posta sul turismo. Ma ora? Che accade? Quale è la direzione in cui va Taranto? Se questa città – afferma l’arcivescovo – è diventata un’emergenza nazionale, lo deve alle tante insistenze, sollecitazioni e proteste fatte. Proprio perché veniamo da anni di abbandono. Adesso il rischio che non possiamo correre è che tutto si fermi. Non si può vanificare quanto si è programmato. E quindi, qualunque sia la forma di governo che si prospetta, che ci sia un’effettiva governabilità e che non si dimentichino i problemi di Taranto».
«Non possiamo permetterci che ci sia stasi o che tutto sia rivisto – prosegue monsignor Santoro -. Prendiamo per esempio la questione dei 50 milioni tolti alla sanità tarantina? Ma è un brutto segno, perché come si fa a negare la necessità di potenziare la sanità in una città che registra purtroppo tante malattie? Ci avevano promesso un recupero di quei soldi che non c’è stato. Non dispero, vedo, anzi, che i consiglieri regionali si sono mossi e pensano a soluzioni alternative che possono essere il decreto “Milleproroghe” o altro, ma è un percorso tutto da costruire. E questo genera incertezza, apprensione. Allo stesso modo il porto, con i 500 lavoratori di Taranto container terminal che non sanno quale è il loro futuro perchè è saltata l’Agenzia del lavoro che doveva essere prevista con la legge di Bilancio.
E che dire poi dell’Ilva? Aspettiamo ancora che ci si dica come si tuteleranno la salute e il lavoro, quest’ultimo anche se dovesse esserci un abbassamento della produzione. Ecco, chi ci guida deve tener conto di tutto questo e non lasciarci congelati nei nostri problemi. C’è disagio, ma ora non si ristagni nella passività e nell’inerzia totale. Papa Francesco parla di debito ecologico da sanare e io – conclude l’arcivescovo di Taranto – dico che c’è anche un grande debito di attese e di risposte che va onorato con la nostra terra».
«Un giorno di festa come l’Immacolata è molto sentito dai tarantini perché riunisce le famiglie attorno a valori positivi – dice l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, in un colloquio con la “Gazzetta” -. È un giorno bello, dunque, ma io vorrei partire proprio dalla ricorrenza della patrona principale della città per dire che a Taranto le questioni restano aperte e che l’emergenza Taranto è prioritaria».
«Abbiamo appena archiviato il referendum costituzionale con tutte le lacerazioni che ne sono derivate. Penso che il No che ha registrato a Taranto il 69,2 per cento, in Puglia il 67,16 e in Italia il 59,11, sia anche il segnale di un Paese che sta ancora male. Sì, alcuni interventi sono stati fatti, ma il malessere c’è. Non lo si può negare. Allo stesso modo, non si possono negare l’insoddisfazione e la sofferenza di Taranto. Sono da quattro anni in questa città, sono arrivato dal Brasile, e quando vado nelle parrocchie – dice l’arcivescovo – la gente è contenta di vedermi e riconosce nel vescovo un difensore dei loro problemi. Anzi, mi invita ad essere ancora più incisivo e determinato con le autorità e nei confronti di chi può e deve decidere. Ma nei colloqui privati le richieste che mi vengono fatte sono uniche: il lavoro, l’assistenza nelle malattie, il sostegno nelle difficoltà della vita. Ecco, quindi, il disagio, la sofferenza». «Certo – aggiunge – a Taranto c’è anche tanta bella, generosa solidarietà. Penso all’aiuto ai senza tetto attraverso la messa a disposizione, da parte della Diocesi, di Palazzo Santacroce in Città vecchia e ai migranti attraverso il monastero delle Carmelitane a Poggio Galeso. Eppoi ci sono le mense della Caritas e delle parrocchie sempre attive. Ma se c’è un aspetto solidale e di fede molto vivo, ne esiste anche uno sociale molto provato e il vescovo questo non può non considerarlo».
«Vorrei dunque che in questo momento molto particolare – dice l’arcivescovo Santoro – l’attenzione al bene di Taranto fosse più grande dell’interesse politico e partitico e che il desiderio di superare le difficoltà in cui ci troviamo fosse più grande dello scontro tra opposti schieramenti. Col referendum, ripeto, abbiamo anche detto al Governo che le cose non vanno ancora bene. Sì, a Taranto abbiamo avuto dell’attenzione, non lo trascuro, e mi riferisco ai cantieri aperti, al lancio del concorso internazionale di idee sul recupero della Città vecchia, alla ripresa del porto, all’investimento fatto sulla cultura e sul Museo nazionale, all’attenzione posta sul turismo. Ma ora? Che accade? Quale è la direzione in cui va Taranto? Se questa città – afferma l’arcivescovo – è diventata un’emergenza nazionale, lo deve alle tante insistenze, sollecitazioni e proteste fatte. Proprio perché veniamo da anni di abbandono. Adesso il rischio che non possiamo correre è che tutto si fermi. Non si può vanificare quanto si è programmato. E quindi, qualunque sia la forma di governo che si prospetta, che ci sia un’effettiva governabilità e che non si dimentichino i problemi di Taranto».
«Non possiamo permetterci che ci sia stasi o che tutto sia rivisto – prosegue monsignor Santoro -. Prendiamo per esempio la questione dei 50 milioni tolti alla sanità tarantina? Ma è un brutto segno, perché come si fa a negare la necessità di potenziare la sanità in una città che registra purtroppo tante malattie? Ci avevano promesso un recupero di quei soldi che non c’è stato. Non dispero, vedo, anzi, che i consiglieri regionali si sono mossi e pensano a soluzioni alternative che possono essere il decreto “Milleproroghe” o altro, ma è un percorso tutto da costruire. E questo genera incertezza, apprensione. Allo stesso modo il porto, con i 500 lavoratori di Taranto container terminal che non sanno quale è il loro futuro perchè è saltata l’Agenzia del lavoro che doveva essere prevista con la legge di Bilancio.
E che dire poi dell’Ilva? Aspettiamo ancora che ci si dica come si tuteleranno la salute e il lavoro, quest’ultimo anche se dovesse esserci un abbassamento della produzione. Ecco, chi ci guida deve tener conto di tutto questo e non lasciarci congelati nei nostri problemi. C’è disagio, ma ora non si ristagni nella passività e nell’inerzia totale. Papa Francesco parla di debito ecologico da sanare e io – conclude l’arcivescovo di Taranto – dico che c’è anche un grande debito di attese e di risposte che va onorato con la nostra terra».